PerfectBook incontra Tiziano Fratus

Leggere poesia è un po’ come compiere un viaggio dentro l’immaginario e l’animo del poeta e dentro se stessi stessi. Immergersi tra le pagine della raccolta Sogni di un disegnatore di fiori di ciliegio di Tiziano Fratus edito da Aboca è molto di più, perché ci si ritrova a osservare anche il mondo e chi lo abita con un occhio attento al movimento della vita partendo dall’osservazione della natura. Fratus, che vive in una casa ai margini del bosco ed è autore di numerosi libri e articoli con tema gli alberi sui principali quotidiani nazionali, racconta in versi semi e piante, piume e foglie, padri e innamorati, paesi e cieli con una scrittura incisiva e concreta ma allo stesso tempo evocativa e immaginifica. Caratteristica la veste grafica delle poesie a “geometria fogliare” (ogni componimento riproduce la forma di una foglia) e l’aver inserito parti di prosa all’inizio di ogni sezione.

Tiziano Fratus

Pagina dopo pagina, ci si ritrova ad attraversare le stagioni, a percorrere un bosco, a interrogarsi insieme all’autore sulla generosità del tempo che passa, a camminare su sentieri nuovi e ad avvicinarsi a quella che lo stesso autore chiama “dendrosofia” cioè conoscenza degli alberi. Abbiamo quindi fatto qualche domanda a Tiziano Fratus per entrare meglio dentro questi suoi Sogni

Cosa significa per te, che abbiamo conosciuto come conoscitore e cantore degli alberi (una delle grandi forme di poesia della natura), scrivere poesia?

La poesia è la radice prima della mia scrittura. Quando poco più che ventenne iniziai a scrivere pensando, con le idee, l’arroganza, l’ambizione tipica che si può nutrire a quell’età, che quel che potevo comporre avrebbe potuto interessare qualcuno oltre me stesso, la prima forma con cui mi confrontai fu la poesia. Che ho continuato a comporre per tutti questi anni. Sogni è soltanto l’ultimo capitolo di questa vena, in precedenza sono uscite diverse raccolte e ho avuto anche la fortuna di poter presentare le mie poesie in diverse parti del mondo, dagli Stati Uniti a Singapore, dalla Lituania al Brasile e in Argentina, in tanti paesi europei dove è stata tradotta e pubblicata in antologie, riviste, e quant’altro. Sì, la mia scrittura si è imposta direi più quando ho iniziato a scrivere in prosa e di temi dendrosofici e arborei, arrivando de facto all’editoria di grande diffusione, e ai quotidiani. Ma ripeto, la poesia è la mia radice prima, non c’è nulla che mi dia gioia quanto comporre una poesia, o come li chiamo io “boschi miniati”, poesia a forma di seme o di foglia.

L’abbinamento della particolare veste grafica “a forma di foglia” con la rispettiva poesia è qualcosa di casuale, tecnico o ha un significato che si collega a ciò che narrano i versi?

Esiste una ricerca estetica, ed esiste un motivo direi architettonico. Il suono, il significato, il far dialogare la voce delle parole coi silenzi e i rumori che circondano le parole. Così come la musica del Novecento ha costantemente interrogato il silenzio e il suono del mondo che circondano la parola, l’opera, la nota musicale disciplinata, tutto quel che esiste insomma nei margini ristretti del pentagramma – basti pensare, ad esempio, a John Cage, a La Monte Young, ad Harold Budd, a Brian Eno, alle intrusioni nella musica del canto delle balene, del frastuono degli elicotteri, della risacca del mare, del frinire dei grilli – così in poesia mi piace disegnare le parole e i silenzi per cercare di dialogare con tutto quel che avviene fuori dalla poesia stessa, che chi la scrive percepisce ma poi resta tagliato fuori quando le parole sono consegnate alla carta.

Sogni di un disegnatore di fiori di ciliegio, Aboca

Come è nata l’idea (o forse possiamo parlare di bisogno?) di miscelare poesia e prosa in questo volume? Quali sono i fili che le legano?

La mia scrittura è sempre andata oltre i generi, i miei stessi libri spesso non hanno una collocazione precisa: talvolta li trovi nelle novità, talvolta nella natura, talvolta nel giardinaggio – povero me – ma per fortuna ultimamente proprio fra i libri che parlano di alberi, che oramai è un tema editoriale molto battuto. Non sono mai stato geloso dei confini e dei limiti, la vita non li conosce, li scavalca, quindi perché farlo da scrittore?

Come spieghi nelle note in appendice, in diverse tue poesie si trovano riferimenti a versi di altri poeti. Chi sono quelli che ti hanno segnato maggiormente e perché?

Sono tantissimi, poeti noti e meno noti, locali e internazionali, Premi Nobel e premi nessuno. Dagli eremiti cinesi dell’undicesimo e del dodicesimo secolo che hanno lasciato gli ideogrammi delle proprie poesie incise sulle cortecce dei tronchi e sono giunte a noi perché qualcuno si è preso la briga di andarle a ricopiare alla notizia della morte dell’autore, ai soliti poeti che citiamo tutti meccanicamente perché quando dici il loro nome non bisogna stare a spiegare chi siano. Seguo la scrittura, mi piace leggere di poeti di tante parti del mondo, anche se li posso capire soltanto in poche lingue, ma mi fido dei traduttori. Dedicare poi nell’architettura del libro spazio a folti ringraziamenti e a ricche bibliografie mi sembra un atto dovuto nei riguardi dei lettori.

Se volessi dedicare un tuo verso al lettore che si immergerà nel tuo libro, quale sceglieresti?

Direi questa poesia.


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