Post tenebras è un avvincente romanzo per ragazzi targato Il Castoro che unisce mistero, ambientazione storica (Svizzera francese alla fine dell’Ottocento) e temi attuali come l’ecologia pur lasciando ampio spazio ai disegni dettati dalle emozioni. Abbiamo voluto intervistare l’autrice Valentina Federici (avvocato di professione e residente sul lago di Ginevra) per addentrarci nelle maglie della storia e nella caratterizzazione dei personaggi. Tra le pagine del libro sembrano duellare razionalità e superstizione, ricerca della verità e pregiudizi; al centro vi è la “caccia alle streghe” che, ahinoi, rimanda per analogia ad altri tipi di persecuzioni e violenze contemporanee.
Ecco, quindi, una nuova intervista per la rubrica Incroci Letterari del nostro blog ReadYourLife!
Come ha avuto l’idea di una storia per ragazzi ambientata a fine ‘800 sulle streghe? Cosa può muovere l’interesse dei ragazzi verso tale periodo storico e perché parlare di streghe?
Quante domande! Inizio a rispondere a ritroso.
Più che delle streghe, volevo parlare della caccia alle streghe. Cosa spinge la società a proiettare le proprie paure su un capro espiatorio? Perché è una dinamica che si ripete, storicamente nelle persecuzioni delle minoranze e oggi molto più diffusamente sui social. Per questo mi è sembrato un tema attualissimo e ho voluto prendere questo meccanismo che è innanzi tutto sociale e impiantarlo in una Belle Époque di scienza e progresso. Per me significa che possiamo sentirci evoluti e moderni quanto vogliamo, ma non appena avvertiremo una minaccia alle nostre sicurezze, daremo il peggio di noi.
Ecco perché credo che questa fine ottocento ucronica possa piacere al suo pubblico, perché la Belle Époque è un’epoca piena di novità e possibilità (elettricità, radio, telefono, automobili, tutto nel giro di pochi decenni) che ricorda molto alla trasformazione che viviamo oggi con l’IA. E davanti a questa rivoluzione in atto, la nostra fortuna sono le ragazze e i ragazzi che stanno costruendo una nuova mentalità, più aperta, rispettosa, e spesso incredula davanti a quanto male possiamo generare noi adulti.
Mimì, la protagonista del suo romanzo, è una diciassettenne tanto carina da far innamorare il suo “salvatore”, mentre nell’immaginario popolare le streghe erano rappresentate vecchie e brutte. Secondo lei una protagonista più attinente a quei canoni “classici” non sarebbe stata gradita ai giovani lettori?
L’idea per questo libro è nata poco dopo essermi trasferita in Svizzera, quando ho scoperto che era stata teatro di una ferocissima caccia alle streghe. Studiando mi sono resa conto che al di là dell’immaginario comune, le più colpite erano state le donne attraenti o indipendenti. In un periodo di forte religiosità, la bellezza poteva diventare fascino e quest’ultimo, seduzione, che è un’arte demoniaca. Per questo, quando ho iniziato a scrivere, per me non ci sono stati dubbi; tanto che un personaggio a un certo punto dice: “non lo sai? Le streghe sono belle!”.
Poi ovviamente Mimì, la mia protagonista, non si considera tale, ma credo che sia normale per una giovane donna, a prescindere dalla sua epoca.
Nonostante i secoli trascorsi dall’inquisizione, tutti noi, come società, stiamo ancora togliendo dal nostro pensiero e linguaggio le etichette che si appiccicano tanto facilmente addosso a una ragazza che mette in mostra la propria bellezza o che comunque non si adegua a una morale più conservatrice.

Nel romanzo è presente anche il tema, la problematica, dell’inquinamento. È questo anche un modo per legare presente e passato nella narrazione?
Anche questo aspetto nasce da una considerazione storica. Le città dell’ottocento hanno scoperto per prime l’industrializzazione e con essa hanno sperimentato l’inquinamento (ricordo un libro di Sherlock Holmes in cui il protagonista accende un fiammifero per riuscire a leggere una scritta all’esterno, in pieno giorno, tanto era satura di fumi l’aria di Londra). A questo ho legato una sensibilità diversa, molto più moderna, dei due protagonisti che sono poi quelli in cui ci identifichiamo di più durante la lettura.
In questo romanzo i sentimenti giocano un ruolo fondamentale, quanto è difficile per i ragazzi oggi – che sono per lo più catturati dalle tecnologie e dai social – saperli leggere in modo autentico e immediato?
Credo che i sentimenti siano un linguaggio universale. È il motivo per cui ci piace ancora così tanto Orgoglio e pregiudizio oppure l’Iliade o l’Odissea. Parlano di un mondo che ormai non esiste più, di regole sociali lontanissime da noi, eppure i sentimenti sono sempre gli stessi. La lettura in età adolescenziale serve proprio a questo. È uno specchio in cui ritrovarsi o meno e in cui si può cercare di capire se quello che stiamo vivendo assomiglia al sentire del protagonista. Anche a noi sudano le mani quando incontriamo la persona che ci piace? Anche noi preferiamo fuggire via invece di parlargli? Allora, a prescindere dal fatto che io sappia chiamare per nome quel sentimento, a prescindere da quanto sia ancora emotivamente acerbo, riuscirò a riconoscerlo nella lettura e a costruirmi un mio vocabolario sentimentale.
Quali sono state le letture della sua adolescenza?
Da adolescente divoravo gialli e romanzi storici; ero una grande appassionata di Grecia antica e mitologia e credo che se i retelling mitologici fossero esistiti già all’epoca, io li avrei collezionati tutti. E poi mi piaceva moltissimo il realismo magico. Ricordo perfettamente quando ho letto Cent’anni di solitudine o Il maestro e Margherita e mi hanno sconvolta per come l’incredibile diventasse ordinario e possibile. È stato un po’ come ricevere la lettera per Hogwarts, solo che era la magia che entrava nel tuo mondo, non tu nel suo. Ancora oggi, le storie che più mi appassionano sono proprio queste.
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