PerfectBook incontra Francesco Faraci

Per la rubrica Incroci Letterari, Marta Piovan, lettrice del team PerfectBook, ci racconta l’incontro con un libro che le è immediatamente entrato nel cuore e con il suo autore che testimonia così l’intreccio di storia, impegno per la legalità e vita di un quartiere siciliano in passato spesso salito alle cronache…

Una domenica mattina scorrendo rapidamente il dito tra le pagine di Instagram il mio sguardo capta il post di una libreria torinese cui sono affezionata, la Libreria Borgo Po, situata nel cuore dell’omonimo quartiere a pochi passi da piazza Vittorio.
Il post ritrae la copertina in bianco e nero di un libro che sarebbe stato presentato il sabato successivo: Brancaccio. Le viscere di Palermo di Francesco Faraci edito da Zolfo. Brancaccio richiama immediatamente alla memoria Padre Pino Puglisi, ucciso dalla mafia il giorno del suo cinquantaseiesimo compleanno, il 15 settembre 1993, semplicemente perché cercava di sottrarre alla criminalità organizzata i bambini del quartiere in cui era prete, Brancaccio.
Mi sono messa allora a cercare informazioni sul libro, avendo subito capito che sarebbe entrato nella mia lista dei libri da leggere.

Dalle prime informazioni che colgo sull’autore, Francesco Faraci, vengo a conoscenza che, oltre ad essere uno scrittore, è un fotografo palermitano: il suo profilo ha quasi solo fotografie in bianco e nero, principalmente di bambini sorridenti e di ragazzi cresciuti troppo in fretta. La mia vista è catturata da queste fotografie scattate in luoghi apparentemente non curati, degradati, ma dove l’anima può scorgere la bellezza, forse celata, forse inaspettata, sicuramente autentica. Queste immagini mi fanno venire in mente la fotografia, opera della fotoreporter palermitana Letizia Battaglia, ritraente una ragazzina dallo sguardo diffidente e fiero con un braccio sollevato sopra il capo, mentre l’altro sorregge un pallone da calcio.

Decido allora di annullare gli impegni presi per quel sabato pomeriggio, perché non avrei potuto perdere l’occasione di sentire parlare di quel quartiere difficile di Palermo.

Francesco Faraci non dice di essere stato insignito nel 2016, tra i cento fotografi giovani migliori al mondo, del premio Lens Culture, né di aver collaborato con Achille Lauro, con Paolo Sorrentino, con Alessandro Cattelan o con Jovanotti, di cui è stato fotografo ufficiale durante il Jova Beach Party. Quando il giornalista di La Stampa, Maurizio Ternavasio, presentando il suo libro ripercorre i successi lavorativi dell’autore, Francesco sorridendo risponde che nulla aveva programmato, ma che tutto è capitato inaspettatamente e che la vita è così: si possono fare programmi e pianificazioni, ma poi è lei che ci apre a strade che non avevamo contemplato.

Francesco non è originario di Brancaccio, ma ha iniziato a incontrare coloro che la abitano perché, prima di fotografare, sa che chi è dall’altra parte dell’obiettivo deve fidarsi di lui e di quella macchina che regge tra le mani. È così che conosce S., un uomo che nella sua vita ha commesso delitti, che potrebbe essere definito “mafioso”, ma che decide di raccontarsi all’autore, di farlo entrare in casa sua, di confidarsi, di mettere a nudo fatti e sentimenti contrastanti.

Chi conosce la vita di Padre Pino Puglisi sa che fino alla sua morte ha cercato di fare soprattutto due cose a Brancaccio: da un lato, togliere dalle mani della mafia bambini e ragazzi, manovalanza delle organizzazioni criminali e, dall’altro lato, rendere il quartiere degno di essere abitato portando avanti con il Comitato Intercondominiale di via Hazon battaglie per ottenere servizi, strade, fognature, scuole, parco giochi, ospedali, inesistenti nella Brancaccio degli anni Ottanta.

E tutto ciò don Pino lo fa da prete nella sua missione – come giustamente ha ricordato Francesco – di evangelizzazione e non da prete “antimafia”, etichetta che probabilmente non sarebbe piaciuta nemmeno a lui. In questo contesto cresce S., ragazzo quindicenne negli anni Novanta, che forse si sarebbe salvato se 3P non fosse stato ucciso. Mi piace pensare che la “S” puntata stia per “Salvo”, salvo, perché nonostante i crimini, chiunque lo può diventare e raccontarsi è il primo passo.

Le fotografie di Francesco sono delle pugnalate allo stomaco, questo è vero. Forse quelle che ritraggono la Cattedrale di Palermo o i Quattro Canti o i vicoli colorati e caratteristici del mercato di Ballarò sono più poetiche, ma la bravura di un fotografo risiede nella capacità di mostrare la bellezza laddove l’occhio umano fa più fatica a scorgerla.

Brancaccio. Le viscere di Palermo è il frutto di un uomo che, mentre scatta, scruta l’anima della persona fotografata e la restituisce, a chi ha la fortuna di incontrarlo, come un abbraccio.

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