#sulletraccediAngelica

Credo fossero quelli gli anni in cui vestivamo maglioni a collo alto – mia madre li chiamava alla ginopaoli – e ci trovavamo, come in un’altalena, tra la poca luce degli inverni e l’attesa di speranze primaverili.

Proprio allora iniziai a sentire l’origine della vita nelle parentele dell’amore visibile a occhio nudo, nelle fattezza di una rincorsa sfrenata. In famiglia stavamo ammutoliti quando i cavalli dell’Orlando furioso provavano a muoversi come treni nelle stanze di un palazzo geometrico e disadorno. Erano sagome di cartone o di legno, adattate da Luca Ronconi a scivolare come su binari che seguivano i muretti di ciò che in apparenza sembravano i magazzini di un antico palazzo aristocratico. In groppa si reggevano cavalieri dall’aspetto sconvolto e dai gesti meccanici.

Davanti a questo corteo svolazzavano le vesti di una donna dal carattere bizzarro e tutti la inseguivano nella follia di una rincorsa irraggiungibile, tutti con il desiderio di fermarla, dai più audaci ai meno fortunati nell’arte di far guerra, perduti dietro il sogno di una felicità che, più l’avessero inseguita, più avrebbero compreso che non apparteneva a questa terra e nemmeno a quella da dove veniva la misteriosa Angelica. Ricordo le parole suggerite da una voce fuori campo: La donna il palafreno a dietro volta, e per la selva a tutta briglia il caccia… E ricordo mio padre che approvava, seduto alla seda di fronte alla tv: <<Quando ho letto il nome di Sanguineti, me lo immaginavo proprio così questo inseguimento>>.

All’epoca in cui studiava all’Università di Salerno, mio padre aveva sostenuto l’esame di letteratura con Edoardo Sanguineti e Sanguineti condivideva con Luca Ronconi l’idea di quell’Orlando furioso che trasmettevano a puntate la sera. Mio padre conservava i libri su cui aveva studiato e li andava a prendere proprio mentre cominciava la corsa dei cavalieri sulle tracce di Angelica. Ma non si accontentava di mostrarli. Ci aggiungeva sempre un particolare: <<Quando faceva lezione Sanguineti, una sigaretta spegneva e un’altra ne accendeva>>. Sanguineti stava in piedi al centro dell’aula e aveva il vezzo di parlare con il mozzicone appeso alle labbra, controllava la cicca in bocca e, prima che si spegnesse, estraeva dal pacchetto una nuova, la capovolgeva in maniera da far toccare l’estremità accesa con quella spenta e procedeva con la sostituzione, in una catena infinita di fumo.

Io guardavo in tv gli uomini pazzi d’amore, sentivo le parole recitate con la furia del poema arrivare fino a me come una promessa di futuro: la vita era muoversi per obbedire a un sogno, il racconto delle storie doveva somigliare all’azione di seguire una geometria imperfetta. Le sere svanivano nel niente di quel che i cavalieri non erano riusciti a raggiungere e nel soggiorno restava una specie di polvere, che non era stata sollevata dagli zoccoli delle cavalcature, ma dal tempo, quello immemore che stava dentro di noi, nel fondo limaccioso della nostra anima e bastava appena un movimento per rendere tutto torbido come il fondo di un pozzo.

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