#PerdersiPerRitrovarsi

Se uno pensa a un viaggio nelle notti stellate, lungo i fiumi larghi e pietrosi o sulle piste di improbabili carovane, dietro a muli e cavalli, un viaggio nei sogni più che sulla terra, alla ricerca di una meta che forse non esiste o sarà di là da venire, pensa all’Anabasi di Senofonte.

Un libro che ho letto da adulto, non da bambino. Un libro di una guerra tutta particolare, con molte armi e con pochissime battaglie, annunciate e spesso rinviate. Senofonte è una figura anomala: è greco ma è uno dei comandanti chiamati a guidare i soldati del grande Ciro, gode di autorità e ha un seguito, dà ordini e li riceve, ma quando cammina dietro alle insegne persiane ha lo sguardo incantato di un ragazzo che vede per la prima volta il mondo.

Il suo esercito sembra quasi che abbia confuso il senso del suo spostarsi e che non stia più obbedendo ai requisii di una spedizione militare, ma stia vivendo un’avventura, sogni un vagabondaggio alla ricerca di qualcosa che è inafferrabile: qualcosa di mobile e di evanescente, qualcosa di fluttuante e di misterioso che non riuscirai mai a raggiungere, la cerchi, la insegui e quando sei arrivato a due passi, quando stai per allungare la mano per toccarla ti accorgi che si è spostata più avanti, quel tanto che occorre per prolungare il cammino.

Il viaggio di questo esercito che va peregrinando per due o tre anni sugli altipiani e gli avvallamenti dell’Asia Minore diventa un miraggio o l’ossessione di un uomo che cerca se stesso inseguendo chissà quale meta, ma ha il sapore di una grande e contraddittoria festa: soldati disperati, profezie errate, pericoli improvvisi, inciampi, fughe e ritorni, partenze e arrivi. Certo c’è tutto questo. Ma anche il desiderio di continuare a camminare spostando la linea dell’orizzonte un poco più avanti.

Per percorrere una geografia di appena pochissimi chilometri (da Sardi a Pergamo, lo stesso percorso che un turista compirebbe ogni giorno per andare ad abbronzarsi sulla spiaggia partendo da un paese dell’entroterra), l’esercito di Senofonte comincia un itinerario inverosimile: abbandona Sardi (la capitale), arriva a Tiana, tocca Tarso (la città di Paolo), poi giunge a Tapsaco, scende a Cunassa, si trasferisce a Sittake, risale verso Larissa, fino a toccare Trapezunte, Sinope, Herakleia, Bisanzio, Salmydesso, Lampsaco.

Possibile che un esercito si sia fatto imbrogliare da rotte così stravaganti? Dagli olivi del Mediterraneo quasi fino al Golfo Persico, dalle sabbie della Mesopotamia alle pietre delle Cappadocia. Il sospetto è che non si siano persi a caso. Il sospetto è che Senofonte abbia approfittato del buio per infilarsi in uno dei tanti mondi alternativi (che lui aveva, come ciascuno di noi) per prendersi una pausa nella vita di tutti i giorni, conoscere il colore del Tigri e dell’Eufrate o il silenzio degli altipiani armeni.

Perdersi per ritrovarsi: questo lo scopo del viaggio. Smarrire il senso del proprio tempo cercando di riguadagnare un’altra dimensione: quella dell’eternità, che è un tempo fuori da ciò che noi definiamo Storia, il non-tempo che si nasconde nelle fessure della memoria e dà l’agio di riposare quando si è stanchi di vivere, respirare un po’ di aria pura, godere della bellezza dei luoghi che non abbiamo mai visto e darsi ragione che in fondo vivere non equivale soltanto a riempire il buco di anni da quando si nasce a quando si smette di respirare. Vivere è trasferire se stessi sopra la scacchiera del tempo, accarezzare le cupole di Babilonia e sentire il rumore delle armi. Sognare di combattere più che combattere davvero. E nel frattempo, in attesa di tornare a casa, conoscere il mondo.

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