#OdisseaDiUnQualcosa

A volte tutto il segreto di un’opera sta nell’incipit. A volte non occorre spingersi troppo in avanti nella navigazione per capire dove vuole arrivare lo scrittore. È come quando si esce in regata: basta uscire dal porto per capire se il vento tira dalla parte giusta o se è contrario.

Per esempio, nell’incipit dell’Odissea c’è un verso che sembra uscire dalla penna di uno scrittore del Novecento, per non dire postmoderno. Mi riferisco al v. 10 («Anche a noi di’ qualcosa di queste avventure, o dea, figlia di Zeus»), dentro cui occupa una posizione strategica il pronome indefinito «qualcosa». Se uno afferra cosa indichi questo termine, non dico che si è impossessato dell’intero poema, però ha intuito i bulloni e le impalcature che lo tengono in piedi.

Può un poema di migliaia di versi concentrarsi in un pronome indefinito? Forse sì. «Qualcosa» potrebbe rappresentare la chiave di lettura dell’Odissea, probabilmente contiene le norme fondanti del poema, il suo DNA.

A mio avviso, si ammanta di due significati. Da un lato allude alla parzialità del racconto: Omero, insomma, non pretende che la figlia di Zeus, gli dica tutte le avventure, ma che gli suggerisca solo un “qualcosa”, che poi sarà l’oggetto del poema. La storia di Ulisse non è completa. Di ciò che si conosce a Omero (e attraverso Omero a noi lettori) arriverà solo una parte, magari piccola, e questa piccola parte sarà poi divulgata al lettore. «Qualcosa», perciò, è ciò che è sopravvissuto alla dimenticanza o che la dea, dall’alto dei cieli, ha deciso di donare agli uomini. Dunque è il condensato di un’esperienza, il succo di un discorso più lungo che parrebbe privilegio soltanto di chi vive nel mondo delle divinità e che, di fatto, è vietato ai mortali.

Le sorprese non finiscono qui perché, nel pronunciare il verbo dell’incompletezza, Omero ci regala anche le coordinate strutturali del suo lavoro. Non solo riconosce la parzialità delle informazioni ricevute dalla dea, ma preannunciando anche una delle caratteristiche dell’Odissea: la segmentazione (quindi la non compattezza) del plot narrativo. Riepiloghiamo il poema in sequenze, almeno nelle battute iniziali: 1) Telemaco si mette in mare dopo aver sentito che tutti gli eroi sono tornati tranne il padre; 2) Telemaco interroga gli altri eroi, ma non trova notizie convincenti; 3) Telemaco torna deluso a Itaca; 4) Telemaco viene a sapere della gesta del padre attraverso un cantastorie. Il resto scorre da sé.

Il pronome «qualcosa» è il frutto della frammentarietà e del caos narrativo in cui Omero converte le informazioni che la dea gli passa. L’Odissea è un poema in cui l’ordine logico-temporale è scombinato, dove avviene il dramma della perdita dei padri (fatto anomalo in una civiltà in cui per statuto sono i padri a impartire lezioni ai figli e, quindi, a impedire che si smarriscano o che “errino”) e nello stesso tempo accade il miracolo dei figli che si mettono sulle piste dei padri, che diventano presto responsabili nei loro confronti e tentano il recupero di chi si è perso.

Tutto il contrario di ciò che avviene nel campo del bildungsroman, in cui il personaggio deve formarsi un’identità adulta crescendo in mezzo ai padri e ai nonni. Solo che a perdersi, in questo mare immenso e antico, sono gli adulti, uno in particolare, troppo astuto rispetto alla media, che ha addirittura osato sfidare gli dei, sulle cui tracce, come un soccorritore in cerca di un naufrago, s’incammina paradossalmente chi ha meno anni di lui.

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