#daisentieriallestorie

Se mi stacco dalla scrittura è soprattutto per andare a infilarmi in qualche vallata alpina poco frequentata, per attraversare boschi e creste alla ricerca di solchi remoti, di silenzi e di visioni nuove, calpestando i vaghi sentieri tracciati dal passaggio degli animali che non portano da nessuna parte, per lo più svaniscono davanti a un orizzonte aperto, spazzato dal vento o inondato di sole. Per questo vale la pena percorrerli lo stesso, inventarsi un proprio cammino. Scrivere non è poi tanto differente: riempi lo zaino di intenti e di speranze, ti dai una direzione e vai, senza sapere chi incontrerai o cosa scoprirai lungo il tragitto. L’importante è ascoltare i fruscii e guardare con occhi attenti. Per scovare orme, le piccole storie nascoste che sono capaci di farti andare lontano.

La manutenzione dei sensi è nata così, da una piccola storia, Il guardiano della collina dei ciliegi da una traccia quasi invisibile scovata per caso. Anzi, da un punto interrogativo.

Stavo scrivendo, tempo fa, un articolo sulle maratone olimpiche per conto di una rivista sportiva. Tra le varie fonti di documentazione ci sono state naturalmente anche le classifiche delle maratone nelle varie edizioni dei Giochi. Di solito le classifiche di qualsiasi gara sportiva, soprattutto di decenni o secoli fa, non le scorre nessuno, al massimo si guardano i primi tre del podio, e via. Io me le sono passate tutte, fino in fondo, osservando nomi e tempi, fin quando nella graduatoria della maratona dei Giochi Olimpici di Stoccolma, disputate nel 1912, ho notato che accanto al nome dell’atleta giapponese Shizo Kanakuri, sistemato tra quelli che avevano finito la gara e quelli che si erano ritirati, al posto del tempo espresso in ore e minuti c’era un punto interrogativo. Mistero. Sfogliando altre fronti avevo trovato invece che il suo tempo finale era stato indicato in… anni, mesi, giorni. Come nei migliori gialli d’antan, “il mistero si infittisce”.

Allora sono scattate all’unisono quelle molle che regolano l’ingranaggio della curiosità – la quale ha alimentato i miei cinquant’anni di attività giornalistica – che mi ha “costretto” ancora una volta a quel mestiere di archeologo che mi sarebbe piaciuto fare da ragazzo; studiare, approfondire, scavare, portare alla luce, ripulire, rendere noto, ridare valore.

Un lavoro non facile, perché Shizo visse spesso defilato dal mondo, in un Paese molto lontano, in un’epoca altrettanto distante. Ma proprio per questo un lavoro anche affascinante. Perché mi ha indotto a conoscere usanze, modi di vivere, linguaggi, geografie e anche religioni dell’arcipelago delle 6852 isole. Sono rimasto ammaliato, pur non entrando nelle sue profondità, dallo Shintoismo, una religione che all’inizio non aveva neanche un nome, un libro sacro, un profeta, un fondatore specifico, poiché era, più che altro, un modo di essere, a contatto con la natura. Dove in armonia vivono i kami, le divinità che spesso sono rappresentate dagli stessi elementi naturali. Kamikaze, per esempio, deriva da kami (le divinità, appunto) e kaze (vento). Il termine si riferisce a una tempesta invocata dai giapponesi, nel 1281, che arrivò a distruggere la assediante flotta mongola. Poi solo nella prima parte del 1900 kamikaze venne adottato per indicare un gesto distruttore.

A forza di scoprire curiosità, luoghi e modi, il romanzo, che vede come protagonista Kanakuri (senza volerne essere però la sua biografia: molte cose nella sua vita andarono diversamente da come le ho raccontate), è diventato anche una piccola finestra sull’evoluzione di un Paese, attraverso lo scorrere della vita in un piccolo villaggio della selvaggia isola di Hokkaido.

Oggi Nihon (uno dei nomi con cui i giapponesi chiamano il loro Paese e che sta a significare “origine del Sole”) è la terza forza economica mondiale e quello di Tokio, con 30 milioni di residenti, è il più grande agglomerato urbano del pianeta. Nonostante questo il 67 per cento del territorio è ricoperto di montagne e di foreste, decine sono i grandi parchi e centinaia le aree protette. La penisola di Shiretoko, dove si trovano, nell’immaginario, la collina dei ciliegi e, nella realtà, il villaggio di Rausu, è uno dei 21 siti del Giappone inseriti nel Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco. La natura dunque è ancora tenuta in gran conto, non ridotta a uno scenario teatrale ma protetta come un bene preziosissimo, che genera ispirazione, conforto, energia e, naturalmente, armonia. Quella che Shizo Kanakuri ritrova dopo molti anni trascorsi in solitudine.

Per una strana combinazione – o forse perché i kami ci hanno messo lo zampino – ‘Il guardiano della collina dei ciliegi’ debutta in libreria il 2 maggio, il giorno dopo in cui, in Giappone, si insedia il nuovo imperatore Naruhito, il quale, come vuole la storia del Giappone, apre una nuova era, chiamata Reiwa, che sta a significare proprio “ordine e armonia”. Shizo avrebbe apprezzato molto questa coincidenza.

2 Comments

  1. Clara FARINA
    1 Maggio 2019
    Reply

    NON La Conosco , non ho mai letto niente di suo e me ne dolgo, ma cio’ che ha scritto mi ha colpito molto. Penso che mi procurero’ il suo ultimo libro, il semplice fatto che parli di natura e di paesi lontani mi spinge a a leggerLa.

  2. Clara FARINA
    1 Maggio 2019
    Reply

    NON La Conosco , non ho mai letto niente di suo e me ne dolgo, ma cio’ che ha scritto mi ha colpito molto. Penso che mi procurero’ il suo ultimo libro, il semplice fatto che parli di natura e di paesi lontani mi spinge a a leggerLa.

    Mi dispiace questo commento e’ la prima volta che lo scrivo!!!!

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