La casa dove Franz Kafka scrisse La metamorfosi oggi non esiste più. Era un appartamento di un palazzo che affacciava sul fiume Moldava, in una zona di Praga adatta alle passeggiate, tutto il contrario di quel che uno immagina leggendo la storia paradossale di Gregor Samsa che una sera si corica nel letto avendo un corpo di uomo e il mattino successivo si sveglia con un corpo da scarafaggio.
Gregor Samsa è difficile incontrarlo nel punto di Praga dove Kafka scrisse di lui se non altro perché al posto del palazzo, dove abitava lo scrittore, adesso c’è un albergo lussuoso, l’Hotel Continental, che non ha nulla del tempo in cui quel racconto prese vita, nei primi decenni del Novecento. Io avevo da poco abbandonato la casa dov’ero nato quando lessi per la prima volta il libro di Kafka e per motivi che ancora adesso ignoro immaginavo che la stanza in cui Samsa si svegliò insetto assomigliasse a quella dove io dormivo, quando abitavo a casa vecchia: era un soggiorno più che una stanza tutta mia, da dividere con gli altri della famiglia.
Se fosse capitato anche a me di svegliarmi scarafaggio, come al ragazzo del racconto, dove mi avrebbero nascosto? Questo pensavo mentre leggevo. E il non avere un luogo dove poter essere ricoverato nel caso mi fossi trovato anch’io nella condizione di Samsa, mi faceva temere non soltanto per quel che potesse capitarmi, ma per i risvolti pratici della faccenda: la vergogna, la sorpresa, le visite dei parenti. Dove si può nascondere un figlio che diventa scarafaggio se vivi in una casa piccola nelle dimensioni? Ricordo che poco distante da me, in uno dei tanti vicoli che partivano dallo slargo in cui affacciava il mio portone d’ingresso, c’era una casa da dove veniva una specie di cantilena pomeridiana, monotona e dalla voce deviata. Una volta era capitato di andare a bussare alla loro porta e di aver intravisto, in una zona semibuia del vano in cui ero entrato, un essere umano su una sedia che pronunciava suoni sconnessi e stringeva in mano dei pupazzi di gomma. Non saprei dire che età avesse, se aveva gli anni di un adolescente come me o se il tempo che era andato avanti si fosse dimenticato di lui, lasciandolo all’età di un bimbo. So che tutto il suo vivere si radunava in quella nenia che era canto, riso, pianto, dolore e chissà che altro ancora.
Chi gli stava intorno aveva vergogna di lui, cercava di farlo zittire, senza riuscirci. Quando andai via da quella casa, continuai a sentire la nenia e per giorni, forse per mesi, il ricordo dell’orrore a cui avevo assistito non mi lasciò più. Quando lessi La metamorfosi, compresi cosa volesse significare svegliarsi scarafaggio ed essere rinchiuso in una stanza per non arrecare vergogna.
Nel paese dove vivevo al tempo della mia adolescenza non scorreva alcun fiume e nessuno forse, tra i compagni di giochi che frequentavo, aveva mai saputo che esistesse una città chiamata Praga, ma è probabile che anche da quelle parti avesse passeggiato Franz Kafka, come faceva in riva alla Moldava, quando cercava idee per i suoi libri.
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