In queste giornate che definire difficili è poco, giornate senza definizione in cui a molti tocca lottare per la propria vita o quella degli altri non è semplice mantenere intatta la lucidità né la speranza. Eppure, sono convinta che, per chi, come è il mio caso in questo momento, è tenuto a stare a casa e rischia di sentirsi impotente rispetto a tutto questo, sia molto importante continuare a riflettere, leggere, pensare, ascoltare e, detto a bassa voce, anche un po’ sognare un tempo forse lontano ma certo diverso e speriamo in qualche aspetto un po’ migliore.
Ci vuole prudenza, ci vuole rispetto per quanto di più lugubre ci sta succedendo attorno e ci vuole una forte dose di resistenza per conservare l’energia che serve ad aprire i libri, ad esempio, in questo periodo. O per ascoltare musica, vedere film, ammirare dipinti, in generale fruire dell’arte nella sua bellezza. La parola chiave, infatti, è “utilità”. In questa crisi ed emergenza internazionale, solo ciò che è davvero utile conta per la sopravvivenza. E siamo giustamente tutti concentrati su questo. Cibo, igiene, farmaci, strumentazioni mediche e l’istruzione che prova a tenere duro.
Ma in tutto questo, l’arte che senso può ancora avere? La letteratura? Il disegno? La danza? La musica? Il cinema? I radiodrammi?
Ci ho riflettuto seppure nei pochi e risicati momenti di calma che questa strana vita ci sta lasciando tra paure, impegni e il continuo compulsare dati e notizie.
E la risposta a quella domanda di senso mi è arrivata, come sempre, da un libro. E non un libro qualsiasi, bensì un albo illustrato per bambini.
Ci è stato regalato alla nascita di Agnese, la mia bimba che ha poco più di un anno. E quando l’ho letto la prima volta mi sono sentita bene, felice, come se una bussola mi indicasse la direzione giusta in cui andare. L’ho riaperto in questi giorni e mi ha commossa ancora di più.
Si tratta di Federico di Leo Lionni edito da Babalibri. È la storia di cinque topini di campagna che, rimasti soli in un granaio abbandonato dai contadini che se ne prendevano cura, sono costretti a prepararsi con le proprie forze all’arrivo del rigido inverno. In quattro si mettono subito al lavoro per raccogliere grano e noci, fieno e bacche. Ma ce n’è uno, Federico, all’apparenza sonnolento e immobile, che non fa nulla.,
“Stai sognando, Federico?” gli chiesero con tono di rimprovero.
Federico rispose: “Oh, no! Raccolgo le parole. Le giornate d’inverno sono tante e lunghe. Rimarremo senza nulla da dirci”.

E non raccoglie solo parole, il presunto scansa fatiche Federico, ma anche raggi di sole, colori, insomma, fa scorte di bellezza. Inutile dire che non lo prendano proprio sul serio e anzi lo snobbano un po’. Ma lui aspetta e resiste, facendo la sua piccola e invisibile parte ogni giorno.
Quando poi l’inverno arriva, le scorte alimentari scarseggiano e con esse anche le storielle che i quattro si raccontano per passare il tempo, Federico prende servizio. “Chiudete gli occhi”, dice e, salendo su un sasso, comincia a raccontare, a evocare tutte quelle cose che adesso mancano e a recitare i suoi versi e finalmente gli amici si riscaldano alle sue parole. Ecco a cosa “servono” i libri, le storie, le note, i colori! Servono ancora. Adesso, per quel che si può e soprattutto, io credo, serviranno dopo. Dopo i beni primari, questo è certo, ma dopo anche in senso cronologico: ci sarà il tempo, spero, di una ricostruzione delle nostre vite e allora l’arte ci verrà incontro, ci scalderà e ci darà una prospettiva che adesso ci sembra tanto offuscata; ci restituirà una sorta di consolazione e forse, mi piacerebbe, anche una scintilla di malinconica, nostalgica allegria.
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