Quando tempo fa ci ha lasciati Paolo Villaggio, mi ha fatto piacere – e penso ne abbia fatto anche a lui, ovunque sia – che più di qualcuno abbia ricordato che sì, l’attore, certamente il personaggio di Fantozzi e tutto quell’universo che sul grande schermo ne ha fatto uno dei non-eroi più citati di sempre… ma valeva la pena ricordare soprattutto il Villaggio scrittore. Fantozzi e Il secondo tragico Fantozzi, per chi li ha letti, sono un baluardo della comicità caustica, della satira più tagliente, una specie di gigantesco esperimento linguistico applicato alla banalità sublimandola. Un’epopea che ne fa il Signore degli Anelli impiegatizio, un Don Camillo laico e feroce, urbano e perdente oltre ogni rispetto per il personaggio. Un miracolo scritto, in grado di prendere ognuno di noi e rendergli meno pesante il fardello delle convenzioni sociali, delle gerarchie lavorative, delle piccole e snervanti angherie quotidiane: gli è stato sufficiente incasellare ogni figura, dargli roboanti definizioni e fare di ogni piccola sfida una battaglia campale.
Ora, si capisce che ‘gli è stato sufficiente’ è una sciocchezza, nel senso che siamo al lampo di genio misto alla padronanza del mezzo. E tutto questo mi ha fatto ripensare a un altro ‘scrittore-non-scrittore’ i cui libri sono offuscati dalla potenza delle sue principali opere: avete mai letto Woody Allen? No, perché la sua pazzesca trilogia letteraria dai titoli intraducibili – in italiano sono diventati Saperla lunga, Citarsi addosso ed Effetti collaterali – è una collezione di racconti medio-brevi che tritano e ricostruiscono decine e decine di generi letterari con una sagacia e una perizia incredibili. Dalla storiella ebraica al diario di guerra, dalla recensione teatrale alla ricostruzione biografica, fino al carteggio epistolare o al romanzo dell’orrore, Allen passeggia con nonchalance in centinaia di anni di letteratura mettendo il suo marchio devastante su tutto. Il fatto è che riesce a rendere – vabbè, che ve lo dico a fare – tutto terribilmente, mostruosamente umoristico. Ma tutto. “Il carteggio Gossage-Vardebedian” è, con la prosopopea degli epistolari tra parrucconi, una partita a scacchi tra due imbroglioni; “Viva Vargas!” diventerà poi Banana’s, ed è il giornale di bordo di un plotoncino di guerriglieri ebeti che per coincidenze fortuite portano a termine un golpe in Centroamerica; l’epopea del Conte di Sandwich inanella i tentativi dell’immaginario nobile verso il panino perfetto (passando per assurdità come una fetta di pane tra due di tacchino, due di pane con sopra il prosciutto adagiato e altri deliri). Persino le storielle ebraiche riviste da Woody Allen diventano altro, spostando l’umorismo ancora più in là: se gli originali erano ironia religiosa e sociale ai massimi livelli, le variazioni sbeffeggiano ogni lato dell’ebraismo, arrivando a perculare persino la tradizione letteraria stessa a cui si rifanno.
Una specie di palestra di scrittura, di palestra di umorismo, di palestra di genialità. Quando si dice che il libro era meglio del film, non si dice però anche che lo scrittore era meglio del regista…
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