Un tempo, pensando a denaro e letteratura, di primo acchito pensavo ad un rapporto travagliato, di quelli in cui ci si tira i coltelli un giorno sì e un giorno pure, per intenderci.
D’altronde, se pensiamo allo stereotipo dello scrittore alla “genio e sregolatezza”, troviamo molti esempi di autori che non si sono inchinati al “vile denaro”: molti sono morti in povertà o non hanno voluto sporcare la propria arte lavorando per essere pagati adeguatamente. Ne vediamo un esempio anche al Museo del Risparmio di Torino, nella parte del percorso dedicata ad alcuni celebri scrittori, come Hemingway, Dante e Molière: se li interroghiamo, ci racconteranno del loro rapporto spesso difficile con il denaro e di come l’abbiano rappresentato nelle loro opere.
In Shakespeare, il denaro diventa l’idolo per cui l’uomo è pronto ad abdicare a patti, felicità e legami di sangue.
Dietro a questa rappresentazione c’è sempre una dicotomia, per cui da una parte, al polo positivo, abbiamo onestà, virtù, legami umani, creatività: tutto ciò di più puro che sarebbe sottoposto al continuo rischio di venire insozzato dal polo negativo, quello del denaro, che porta ad avidità, egoismo e meschinità.
In questo senso, non è l’uomo a possedere il denaro, ma il denaro a possedere l’uomo, per cui bisognerebbe tenersene alla larga.
Eppure, troviamo un gran parlare di denaro in letteratura, perché fa comunque parte in modo incontestabile delle nostre vite e, a ben vedere, ciò da cui vogliono metterci in guardia i romanzi sembra essere questo: non lasciarsi prendere dal demone dell’avidità a scapito dei legami umani.
Questa è la tesi e l’incipit del libro di Giandomenico Scarpelli, La ricchezza delle emozioni: l’autore ripercorre la storia della letteratura alla ricerca di quei libri e quei brani in cui le leggi dell’economia si fanno vive e diventano parte integrante e a volte, perché no, motori dell’azione dei personaggi. Così vediamo che in Anna Karenina l’economia compare come materia studiata da un personaggio: Levin capisce quando è quasi troppo tardi che non esistono leggi economiche che siano valide in qualunque luogo, contrapponendovi la varietà umana. Allo stesso tempo, vediamo, in Jane Eyre che il personaggio di Eliza risparmia perché è nata con quest’attitudine: Scarpelli nota anche come, in letteratura, il risparmio non sia rappresentato quanto l’indebitamento, a causa del quale vediamo tanti personaggi finire in disgrazia.
Insomma, l’autore, importante dirigente della Banca d’Italia, vuole mettere la pulce nell’orecchio tanto ad economisti quanto a letterati: non è forse venuta l’ora di smettere di guardarsi in cagnesco, per unire le forze e far sì che le persone si facciano un’idea più chiara e autonoma di tematiche economiche che si leggono ogni giorno sui giornali?
Comprendendo che, con lo zucchero di letteratura e cinematografia, la pillola va giù meglio, Leonardo Martinelli ha scritto un saggio intitolato Quasi un romanzo, in cui persegue il nobile compito di insegnare qualcosa in più di termini considerati spesso ostici come “spread”, “bolla speculativa” e tanti altri, che vengono umanizzati e messi alla portata di tutti nei libri e nei film.
Ed è così che impariamo che anche all’interno del lager di Se questo è un uomo le leggi dell’economia hanno fatto sì che venisse messa su una “borsa valori” con scambi, debitori e creditori.
Guardando “Mary Poppins”, impariamo il meccanismo della riserva bancaria e abbiamo un assaggio di cosa succede se tutti i correntisti si precipitano a reclamare i propri soldi a gran voce: tutto per un bimbo che voleva usare i suoi penny per dare da mangiare ai piccioni.
Le leggi economiche si fanno personaggi, i personaggi mettono in moto delle storie e la vita subentra e prende il sopravvento. Forse questa materia economica non è poi tanto arida o distante dalla nostra vita di tutti i giorni?
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