Edizioni di Comunità, casa editrice fondata nel 1946 da Adriano Olivetti e tornata in vita nel 2012, ha pubblicato un bel racconto per ragazzi che conduce dentro la storia della prima fabbrica nazionale di macchine da scrivere, proprio la Olivetti di Ivrea.
La vicenda de Il segreto della fabbrica scritto da Angela Ricci ruota attorno a tre studenti di una scuola media di Torino in gita nella città piemontese che nel 2018 è stata nominata tra i beni del patrimonio Unesco: Max, Pietro e Livia, anziché prendere il pullman con i compagni e le insegnanti per fare ritorno a casa, restano nel complesso industriale per risolvere un mistero legato a uno strano segnale che emette un’app sul cellulare di uno dei tre.
Uno degli ingredienti della vicenda, quindi, non può che essere la tecnologia. Il libro, che è arricchito dalle illustrazioni di Michela Torbidoni, è intrigante e incuriosisce non solo i giovani lettori ma anche chi voglia avvicinarsi in modo semplice e curioso alla realtà creata da Camillo e Adriano Olivetti e a soddisfare alcune domande in tal senso ci pensano anche un paio di capitoletti in appendice. L’autrice, che ben conosce i luoghi descritti, riesce effettivamente a prendere per mano il lettore accompagnandolo nelle sale e nei corridoi della Olivetti, ma soprattutto, attraverso i vari personaggi (ai ragazzi aggiungiamo un nonno, una guida, i genitori e non da ultimo i fondatori della fabbrica), intreccia in modo abile i fili del tempo di ieri e di oggi tratteggiando una prospettiva culturale che così guarda al domani. Parliamone direttamente con Angela Ricci…
Come è nata l’idea di questa avventura olivettiana per ragazzi tra passato e presente?
È nata essenzialmente come punto d’incontro tra il mio interesse per la storia olivettiana, coltivato attraverso i libri delle Edizioni di Comunità, e la mia attività di traduttrice ed editor di libri per ragazzi. Ho sempre pensato che la storia della Olivetti avesse una fortissima componente narrativa, e che fosse talmente ricca e sfaccettata da poter suscitare l’interesse davvero di tutti: da quello degli studiosi che se ne occupano in ambito accademico, a quello dei ragazzi, che ne colgono invece prima di tutto l’aspetto più immaginifico. I saggi per il pubblico adulto abbondano, per i ragazzi invece c’era pochissimo, e ho pensato di rimediare.
La storia coniuga l’attenzione a quella che è la memoria storica dei nonni e il valore di questa con il desiderio di innovazione tecnologica che ha sempre abitato nell’azienda Olivetti e che anima più che mai le nuove generazioni. Sulla base anche del racconto che hai scritto, come è possibile trovare un punto di incontro e di equilibrio tra queste?
Sembra un controsenso, ma credo che per essere veramente creativi e innovatori la memoria serva tantissimo, perché i problemi a cui l’innovazione può porre rimedio spesso vengono da molto lontano. In particolare l’innovazione tecnologica, quando è vera e utile, non nasce mai dal niente, ma risponde a bisogni e necessità che già esistono. Guardando indietro poi, si possono recuperare progetti e soluzioni che in passato sono stati scartati, magari proprio perché troppo in anticipo sui tempi. Alla fine la storia che ho raccontato parla essenzialmente di questo, della scoperta di quella piccola parte di futuro che è sempre nascosta nel passato. I protagonisti non sanno spiegarsi come sia possibile, ma intuiscono che c’è questo legame.
L’elemento mistero gioca un ruolo importante nel tuo racconto attraverso il “Progetto 100” di cui i tre protagonisti scoprono passo dopo passo un indizio. Si tratta “solo” di un utile e intrigante elemento narrativo oppure rappresenta qualcosa di più nel complesso della storia?
Entrambe le cose. La storia della P100 è sicuramente un espediente narrativo che ho usato per portare a spasso protagonisti e lettori per le fabbriche di Ivrea, alla ricerca di indizi, ma ha anche un significato “simbolico”. Ci sono tantissimi studi, seri e ben fatti, sulla storia della Olivetti, ma alla fine c’è sempre qualcosa che sfugge, nessuno riesce davvero a spiegare fino in fondo come abbiano fatto le idee utopistiche di Adriano Olivetti a diventare realtà in quel modo straordinario. La P100
rappresenta questo elemento inafferrabile, era lo spunto perfetto per una storia del mistero.
Cosa significa per te aver scritto un libro per ragazzi?
Mi sono divertita molto! A dir la verità mi è sembrato che il libro si sia quasi scritto da solo. Credo sia perché una gran parte di quello che c’è dentro è vero, non l’ho inventato io.
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