La migliore definizione di “distrazione” credo sia contenuta nel finale del racconto che dà il titolo a Uno si distrae al bivio di Rocco Scotellaro: un testo scritto tra il 1942 e il 1943, dato alle stampe nel 1974. Si legge: «Ecco che uno si distrae al bivio, si perde. E chi gli dice “Prendi da questa” e chi “Prendi da quest’altra”. E uno resta là, stordito. Aspetta che le gambe si muovano da sole».
La distrazione di cui parla Scotellaro è il tempo speso nell’attesa di scegliere una strada anziché un’altra, ben consapevole che questa condizione determinerà uno stato di perdita e di stordimento, per usare i termini stessi della citazione, il dubbio se la direzione intrapresa sia davvero quella giusta. Scotellaro ha tradotto narrativamente il fiore della filosofia di Kierkegaard: ancora non ne è stato studiato il rapporto, però sembra che a dettare le parole del racconto sia stato il filosofo danese. Quasi a dire che se esiste un briciolo di felicità (come possibilità di scegliere tra due vie, come gusto per le traiettorie alternative) è da cercare negli incroci delle carrabili, nei bivi a fondovalle (e non sui monti), dove si intersecano i destini degli uomini in transito. Quando la storia ci obbliga a prendere una decisione e una direzione, allora insorge il rimpianto per le strade che avremmo potuto imboccare e non siamo riusciti a trovare.
Secondo me la Basilicata è un luogo dove fermarsi (o distrarsi) al bivio. Forse è un grande bivio, al centro di una rotta che dall’appennino conduce al Mediterraneo, da oriente scavalca verso occidente, dalla cultura del Nord verso i meridioni del mondo: l’Africa, il Medio Oriente, l’Est. E questo stato di permanente distrazione lo si percepisce anche nel carattere e nell’identità stessa dei suoi abitanti. Se fermiamo i nostri piedi sull’appennino, abbiamo due orizzonti a cui guardare: la cultura greca (abituata a coltivare il gusto per il tragico, a sentire la pressione – il pathos – degli dei sugli uomini, la loro invidia, la loro attesa che il sole sorga per mettere a segno la vendetta) e la cultura dell’occaso (la cultura del sole che tramonta, ma anche quella che va alla scoperta dell’America).
Insomma, chi si trova sull’appennino basta che si volga a sinistra per sentire il fragore delle armi (i poemi omerici) e concepire la vita come lotta, oppure basta che si volga a sinistra o a destra per sognare un mondo nuovo, l’utopia, e credere che basti sfidare le colonne d’ercole per conquistarlo. In questa perenne distrazione fra tragico e comico, fra pessimismo e ottimismo, continua a giocarsi il destino del popolo lucano.
P.S. L’immagine utilizzata nell’articolo è tratta dall’opera Paesaggio di Zenone (Emilio Giunchi), 1936
Ho letto L’elogio alla distrazione che avete pubblicato e mi sono persa in quelle righe, Confesso conosco poco la Lucania e il popolo lucano e me ne rammarico, ma il bivio
Ci lascia una scelta, forse distrarsi ci farebbe bene, forse mi sono proprio persa in quelle righe………..grazie Rocco S.
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