“…Un giorno Joseph Montgolfier osservando i panni posti ad asciugare sopra un fuoco notò che alcune parti ripetutamente si sollevavano verso l’alto…”
Faccio parte di quella generazione di trentenni che si sono laureati lavorando – o forse mi sembra più appropriato dire che lavorando si sono laureati –, di quella generazione dei cartoni che parlavano di amore e di personaggi di cui ci si innamorava, di chi veniva lasciato libero di scorrazzare in mezzo ai campi e ha ancora sulle gambe le cicatrici – mostrandole con orgoglio –, di coloro che liberi dalle tecnologie di qualsiasi tipo si sono adattati e hanno reso ancora più visibile il concetto evoluzionistico di Darwin – e no, non siamo nativi digitali ma siamo noi ad essere “sopravvissuti” e ad esserci trovati catapultati in questa “società liquida” –.
Siamo quelli che tifano per la meritocrazia e che ancora ci credono, che vivono di partita iva con il regime dei minimi e si costruiscono da soli perché ormai troppo vecchi ma molto giovani; che hanno il loro lavoro ma che sperano che le loro passioni possano diventare il loro lavoro; che si “adattano”, concetto di uso comune: si adattano alle crisi, si adattano alle proposte di lavoro, si adattano ai fidanzati, si adattano alle mode… siamo adattabili, siamo versatili ma siamo e sempre saremo dei passionali sognatori nevrotici.
Viviamo tra passato e futuro e nel mezzo viaggiamo, ci trasferiamo e programmiamo istanti di felicità, cerchiamo di trattenere tutto con la nostra reflex – io poi uso una “Bridge” perché il corso di fotografia è prima del corso di yoga ma dopo il ciclo di incontri di storia dell’arte contemporanea – eppure sappiamo che le relazioni e le emozioni non sono visibili che con il cuore, non le sentiamo che con la pancia.
Siamo pop perché amiamo le tinte forti, siamo rock perché siamo sfacciati, siamo romantici perché sogniamo, siamo hipster perché pedaliamo per la città, siamo vintage perché amiamo i sapori di epoche passate. Dobbiamo essere sempre qualcosa.
Vorremo, anziché essere incasellati e catalogati, sapere dove scrivere dei nostri viaggi: avere qualcuno che ci chieda a che ora sorge il sole, la nostra bevanda da ricordare, gli imprevisti ma anche le sorprese. Che ci parli della Valle Bavona – e se non sapete dove si trova partite subito –, che ci consigli le letture per il nostro prossimo viaggio, che ci intrattenga quando il nostro treno è in ritardo, che ci faccia partecipare ad una caccia al tesoro solo inviando un foglietto con su scritto “accetto di partire”, che abbia un SOS sempre a disposizione, che mi insegni a fare un origami a forma di tazza e che mi dica sempre come trovare il polo sud nonostante io sia nell’emisfero australe.
Un Quaderno dei viaggi per perdersi e poi ritrovarsi o per ritrovarsi dopo essersi persi, il mio J. Montgolfier è il numero 765. Perfetto per una nevrotica sognatrice sempre in ricerca.
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